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Immagine del redattoreMichelangelo Morreale

C'è sempre un motivo dietro un omicidio.

In questi giorni abbiamo sentito tutti il caso di Sharon Verzeni, uccisa un mese fa da parte di un cittadino Italiano Moussa Sangare. Quello che ha fatto più scalpore sono le parole del reo confesso che ha affermato : " l'ho ucciso senza un motivo" .

Subito, tutte le trasmissioni televisive, i commentatori ( anche coloro che dovrebbero essere competenti in materia) hanno cominciato a parlare di una nuova categoria di omicida, " il killer casuale" ( il termine killer è comunque errato in questo caso )che destabilizza gli investigatori ed è imprevedibile.

Non sono totalmente d'accordo con questa ricostruzione perché al netto del fatto che la Verzeni è stata assolutamente sfortunata a trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato e quindi era impossibile prevenire l'omicidio, stessa cosa non possiamo dire per Moussa Sangare. Infatti così ha commentato la sorella dell'omicida intervistata:" quando ci hanno detto che era stato lui a uccidere quella povera ragazza, siamo rimaste scioccate.

Sapevamo che non stava bene, ma mai avremmo potuto pensare che potesse arrivare a questo".

"Per mio fratello nessuno si è mosso", la denuncia di Awa: "Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza - prosegue - , per affidarlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre rifiutato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza mentre per un ricovero in qualche centro per fare uscire Moussa dalla dipendenza ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario.

Era un bravo ragazzo, poteva sembrare strano forse ma tranquillo, almeno fino a quando non è andato negli Stati Uniti e poi a Londra nel 2019: è tornato ammettendo di aver iniziato a fare uso di droghe sintetiche. Non era più lui".

"Ci sono stati giorni in cui la paura era sempre dentro le mura di casa, non mi lasciava mai. Giorni in cui urlava, parlava da solo, delirava", ricorda. Poi, dal 9 maggio, dopo la terza denuncia in un anno presentata dalle due donne, non abitava più con madre e sorella, "e non avevamo proprio più contatti. Prima dello scorso aprile - ricorda Awa - non aveva mai usato un coltello contro di noi. Ma quel giorno, era il 20 aprile, mi ha raggiunto alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con un coltello. Io non mi ero accorta di niente, mia mamma, che da quando ha avuto l'ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se n'è andato, ridendo".


Le parole della sorella stridono con la teoria del "killer casuale".

Un ragazzo in difficoltà, una famiglia che non è stata aiutata perché solamente quando la cronaca è nera riaccendiamo i riflettori su alcune problematiche che attanagliano la nostra nazione. Mancanza di supporto per le famiglie con figli "difficili" strutture fatiscenti e non funzionali, un sistema a più livelli : assistenti sociali, comune, ospedale, forze dell' ordine, giustizia ecc ecc... che non funziona dato che non si coordinano fra di loro, lasciando soggetti socialmente pericolosi ma curabili all'interno della societá. Chiunque poteva essere al posto di Sharon, nessuno avrebbe mai potuto prevedere un tale evento , mentre bastava davvero poco per aiutare un nucleo familiare che aveva chiesto aiuto per un ragazzo ormai in difficoltà che nemmeno la famiglia riusciva più a controllare. Se il meccanismo di equipe dopo le 3 denunce di maltrattamenti della sorella si fosse avviato, siamo sicuri che oggi Moussa non avrebbe potuto uccidere e come conseguenza non ci sarebbe stata nessuna vittima casuale. Sharon sarebbe ancora viva.


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